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  • Immagine del redattoreGoffredo Bordese

L'ansia non esiste!!!

L'ansia non è altro che un'allergia relazionale. E' l'unico modo che il nostro corpo ha di dirci "piantala di farti del male", "osserva cosa ti soffoca".




Un giorno sbucciando una pesca, il mio corpo si è riempito di bolle, mi si sono gonfiate le labbra, mi si è annebbiata un po' la vista, ha iniziato a girarmi la testa e ovviamente mi sono spaventato, andando in iperventilazione, avendo paura di stare male, cosa che mi ha fatto stare ancora peggio, aggiungendo un'importante tensione emotiva a una condizione fisica inaspettata.

Il mio corpo mi ha detto una cosa molto semplice: "caro Goffredo, nonostante tu le abbia sempre mangiate, in questa, o nelle pesche in generale, c'è qualcosa che non tolleri più, che non è più compatibile con il tuo corpo. Non è colpa del frutto. E' buonissima per altri, ma su di te ha un effetto più forte della tua volontà. Mettila giù, lavati le mani e mangia qualcos'altro serenamente."

Qualche settimana fa ho partecipato ad un pranzo tra amici (o quasi). Il mio vicino di tavolo ha avuto un ruolo molto importante nella mia vita molti anni fa.

Eravamo molto amici, poi la vita ci ha allontanati senza mai trovare il giusto chiarimento emotivo che ci avrebbe permesso di "lasciarci andare" serenamente, con la tristezza per la perdita del rapporto, ma anche con la serenità che solo la chiarezza può generare. Erano anni che non la vedevo.

Ora è una persona molto cupa, negativa, profondamente vittimista e che tende ad usare il malessere per mantenere l'attenzione di tutti su di sé.

Dopo i primi momenti in cui ho cercato di portare il nostro rapporto al calore del passato, abbozzando parole per aprire un dialogo profondo a cui eravamo abituati e cercando di essere accogliente nonostante l'evidente imbarazzo di entrambi; mi sono accorto che perdevo lentamente la mia serenità. La mia capacità di pensare, di sentirmi, di godermi il pranzo, si stava trasformando in tensione. L'imbarazzo del silenzio forzato mi stava contraendo facendomi sentire profondamente a disagio. Lo stomaco diventava sempre più teso, il respiro era lentamente diventato più superficiale e la digestione iniziava a darmi segni di fastidio. A pranzo finito mi sentivo troppo stanco per ciò che avevo fatto. Nel pomeriggio poi mi è venuto un profondo mal di testa e "casualmente", il giorno dopo mi sentivo piuttosto spossato, con una schiena molto rigida e indolenzita e con la testa pesante tipica dopo una brutta litigata.

Il mio corpo mi stava dicendo una cosa molto semplice, la stessa che mi disse per la pesca. "Caro Goffredo, questa persona e questa situazione non sono cattive. Questa persona è buonissima per altri, ma su di te ha un effetto più forte della tua volontà."

Per un po' ho pensato di brevettare un'antistaminico per i rapporti tossici, poi però ho pensato: "non sarebbe più facile se potessimo semplicemente rimettere la persona nella cesta e mangiare un altro frutto più adatto alla nostra biologia dell'anima?".

Purtroppo interviene il senso di colpa, il sentirsi cattivi, la paura del giudizio della pesca e del sindacato mondiale dei produttori di frutta.

L'ansia, l'angoscia, questa tensione emotiva che nasce in noi quando ci obblighiamo ad una situazione per noi emotivamente difficile, è semplicemente l'equivalente delle bolle sulle mani, delle labbra ingrossate o della nausea generata da una reazione allergica.

E' un guinzaglio invisibile che ci stringe il collo quando ci allontaniamo dall'ascolto di noi stessi. Quando obblighiamo la nostra anima a una tensione che semplicemente lei non tollera più, perché siamo semplicemente cambiati, e ciò una volta amavamo, forse oggi ci intossica e soffoca, obbligandoci ad un cambiamento.

Quindi, quando stai male, non cercare un antistaminico per l'anima. Prova a chiederti:

cosa ti fa stare male, al di là di ciò che dicono i pensieri e le mille bugie della mente?

Prova ad ascoltare senza giudizio cosa ti farebbe stare bene se potessi agire per un secondo senza pensieri, giudizi, sensi di colpa e finti buonismi.

Torniamo ad ascoltarci, serenamente, senza giudizi, accettando semplicemente che molto spesso il nostro corpo cambia, accumula tossine, fino a che un giorno, dopo aver cercato in ogni modo di dirci qualcosa, deve alzare il tiro e il dolore, fino a farcelo diventare insopportabile, affinché riusciamo a capire che dobbiamo "mettere giù la pesca", provando ad assaggiare altri frutti, senza sentirci troppo in colpa verso il frutto scartato, il fruttivendolo e il padrone di casa del fruttivendolo.






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